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domenica 6 settembre 2020

Controllo dei movimenti profondi (Parte 1)

Il monitoraggio degli spostamenti profondi ha lo scopo di definire la geometria e il volume del corpo di frana nel sottosuolo. Queste informazioni servono per condurre un'analisi di stabilità di un pendio perché consentono la determinazione della superficie di scorrimento. Nel caso di scorrimenti rotazionali, è semplice identificare i punti limite della superficie di scorrimento a monte e a valle; tuttavia è molto difficoltoso trovare un terzo punto intermedio che si trovi all'interno del pendio. Per poterlo valutare si possono utilizzare dei software che abbiano la funzione di far variare la posizione del centro della superficie all'interno di una maglia di superfici isolando successivamente quella definita critica. La superficie critica è la superficie di scorrimento con il coefficiente di sicurezza più basso. Un altro modo può essere definire in profondità la fascia di deformazione associata alla superficie di scorrimento. Per stabilire la profondità d'indagine si può ricorrere a due diverse metodologie:

  • ipotizzare una superficie e la sua posizione;
  • effettuare una prospezione sismica in grado di identificare la superficie di scorrimento, prospezione alla quale seguiranno altre operazioni per monitorare gli spostamenti o i movimenti.
Per studiare i movimenti che avvengono in profondità si ricorre alle misure inclinometriche. Queste si effettuano con uno strumento chiamato inclinometro che permette di ricavare informazioni di diversa natura:
  1. Profondità della superficie di rottura;
  2. Spessore della superficie di rottura;
  3. Entità degli spostamenti profondi;
  4. Velocità e direzione del movimento.
A questa breve premessa seguirà un successivo post in cui vi illustrerò cosa compone un sistema inclinometrico. Ho deciso di suddividere in più articoli la trattazione per alleggerirla e renderla comprensibile a chiunque. In fondo, il blog ha uno scopo puramente divulgativo.

lunedì 10 giugno 2019

Spettrometria di tipo RAMAN

La spettrometria Raman è una tecnica di analisi dei materiali che si basa sulla capacità che ha la materia di vibrare quando è colpita da un’onda elettromagnetica monocromatica proveniente da una sorgente laser. È ampiamente utilizzata per studiare le proprietà vibrazionale sia dei solidi che dei liquidi e dei gas. Questa tecnica non è distruttiva e dà risposte in tempi brevi; può fornire informazioni sulla composizione molecolare, i legami, l’ambiente chimico e la struttura cristallina dei campioni in esame. Viene applicata nella gemmologia, allo studio dei depositi di minerali, nell’archeologia e nell’analisi di prodotti commerciali quali farmaceutici, polimeri e semiconduttori. Questa tecnica può essere utilizzata a qualsiasi gruppo minerale e si basa sull’identificazione dei picchi diagnostici a confronto con spettri di riferimento. Il Raman se è accoppiato al microscopio ha una risoluzione spaziale di quasi 1 micron. Le vibrazioni delle molecole dipendono dal tipo di legame che queste formano, più hanno legami forti più vibrano.



Le vibrazioni possono essere di due tipi:
- STRETCHING;
- BENDING.

Le vibrazioni di tipo Stretching sono dovute ad uno stiramento ritmico lungo l’asse di legame e l’angolo di legame resta costante; mentre quelle di tipo bending sono una sorte di piegamento dovute ad una variazione dell’angolo di legame e resta costante la distanza di legame.
In un esperimento di SCATTERING RAMAN il campione da analizzare viene colpito da una radiazione elettromagnetica che interagendo con gli elettroni delle molecole induce su di esse un dipolo elettrico oscillante responsabile del processo di diffusione della radiazione incidente. Analizzando la radiazione diffusa si possono distinguere componenti con diverse energie.
La componente Rayleigh che rappresenta la quasi totalità della radiazione diffusa, proviene da un processo di diffusione elastico che non comporta scambio di energia con il sistema ed ha la stessa energia della radiazione incidente. Le componenti Stokes che hanno energie minori e le componenti anti-Stokes che hanno energie maggiori rispetto alla radiazione incidente provengono da processi di diffusione anelastici.

Si possono scegliere sorgenti laser con emissioni che vanno da 1064 nm a 266nm. Le analisi Raman vengono eseguite con un microscopio ottico standard che utilizza una luce riflessa o trasmessa, accoppiata ad una sorgente laser e a un sistema ottico per mettere a fuoco il fascio incidente e un rivelatore per analizzare i fotoni sparsi. La risoluzione della dimensione del punto è di 1mm con l’obiettivo *100 e si possono quindi determinare i singoli cristalli fino a qualche micron di dimensione.


Un apparato Raman è costituito da un laser che viene puntato su un filtro-specchio che focalizza il laser sul nostro campione. Per vedere il campione si punta della luce e si osserva la luce riflessa attraverso una telecamera. Quindi sul campione arriverà la luce visibile ed il laser, alla fine il campione diffonde la luce che torna indietro e e attraverso il filtro notch viene eliminato lo scattering elastico, che è quello più intenso. La luce poi incide su uno specchio che la convoglia attraverso un diaframma confocale, ciò mi permette di vedere lo scattering stokes solamente della parte che sto mettendo a fuoco. La luce cosi filtrata va su un reticolo, un prisma che ci permette di separare le stokes in varie lunghezze d’onda e le invia ad una camera ccd che ne registra l’intensità e da cui poi si genera lo spettro. La differenza tra l’intensità dell’onda che entra e quella che esce genera nelle varie lunghezze d’onda dei picchi, il raman shift. Ogni picco è un segnale dovuto ad un determinato movimento di una molecola, siccome le molecole non vibrano allo stesso modo riusciamo a capire di che minerale si tratta. Si riesce anche a distinguere i polimorfi.

Apparato RAMAN

I laser nel range di 514-785nm sono meglio utilizzati per evitare problemi causati da effetti di fluorescenza. Le operazioni vengono gestite da un computer con un software appropriato per la memorizzazione e l’elaborazione dei dati. Gli strumenti moderni creano automaticamente particelle e si concentrano sul centro di ciascuno per raccogliere gli spettri Raman. Le mappe mineralogiche accurate su griglie prefabbricate e il conteggio automatico dei punti possono essere ottenute con funzione di imaging e uno stage motorizzato x-y. Sull’ascissa si ha il Raman shift, differenza tra la frequenza del fotone che entra rispetto alla frequenza del fotone che esce, se tale valore è pari a zero ci troviamo nella diffusione elastica e questo valore sta al centro dello scattering
Stokes e quello Anti-Stokes. Nel diagramma l’effetto elastico è quello più intenso, asta più alta, ed è quello che ci crea maggiore disturbo. Come si vede nel diagramma tipo del Raman le linee stokes sono più intense rispetto a quelle anti-stokes, quindi le vediamo meglio, ed è per questo che si utilizza l’effetto stokes e non quello anti-stokes. Altro motivo per cui si preferiscono le Stokes è che queste si verificano con una frequenza maggiore rispetto alle anti-stokes.

Quindi riassumendo quando un fascio di luce incide sul campione, una parte di essa uscirà in modo elastico, una parte più bassa uscirà con un’energia minore (maggiore frequenza) ed una parte con un’energia maggiore (minore frequenza). Quando la luce incide sulla materia può anche generarsi il fenomeno della fluorescenza, ovvero la materia emette a sua un’onda elettromagnetica a lunghezza d’onda maggiore quindi a più bassa frequenza.

sabato 8 giugno 2019

Errori sistematici nell’analisi per XRF

Come in ogni tipo di analisi, anche l'XRF presenta alcuni problemi, in particolare perché, come ogni raggio, anche i raggi x sono soggetti alle leggi di ottica e ai fenomeni di diffrazione, riflessione, rifrazione, e così via. In particolare, mi soffermerò sugli errori sistematici in cui spesso si incorre operando in questo modo.

Assorbimento - Come tutti i raggi, i raggi X vengono assorbiti nell’attraversare qualunque sostanza. L’assorbimento dipende dallo spessore del materiale attraversato, dalla sua densità e da un coefficiente, detto coefficiente di assorbimento che a sua volta dipende dall’elemento attraversato e dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente. Quanto detto finora vale per i raggi X primari che incidono sul campione e vengono assorbiti dagli atomi della sostanza i quali li “trasformano” in raggi X secondari. Anche questi ultimi, tuttavia, nel loro percorso attraverso il campione sono soggetti ad assorbimento da parte degli altri atomi della sostanza, per cui la loro intensità viene almeno in parte diminuita. Quello che succede, in pratica, è che la radiazione secondaria emessa da un atomo va a interagire con altri atomi della sostanza, provocando l’eccitazione degli elettroni. Se l’energia è sufficiente a ionizzare l’atomo di un altro elemento si produce un effetto di fluorescenza secondaria, con l’emissione delle righe caratteristiche del secondo atomo. L’interazione può avvenire tra atomi dello stesso elemento (auto- assorbimento): ad esempio la radiazione Kα di un elemento può interagire con un altro atomo dello stesso elemento e fornirgli un’energia sufficiente ad espellere un elettrone dallo strato L. Per quell’elemento si avrà una diminuzione dell’intensità della Kα (assorbita per fluorescenza secondaria) e un aumento dell’intensità delle righe L. La fluorescenza secondaria può anche interessare atomi di elementi diversi.
Le rocce sono sistemi composti da molti elementi che interagiscono fra di loro causando effetti di rinforzo e di assorbimento di maggiore o minore entità a seconda delle loro diverse concentrazioni. Tutto ciò naturalmente provoca degli errori nell’analisi che non dipendono dallo strumento o dall’accuratezza con cui l’analisi stessa è condotta. Si parla in genere di effetto matrice per indicare le interazioni di un elemento chimico con la matrice (cioè con gli altri elementi che compongono il
campione).
Per ridurre l’effetto matrice si può:

  • fare uso di standard;
  • fare le analisi su perle di vetro in cui il campione viene diluito con elementi troppo leggeri per essere visti dai raggi X;
  • impostare sistemi matematici di correzione.

Effetti granulometrici - Sono errori causati dal fatto che la superficie di analisi non è perfettamente piana, ma presenta una serie di irregolarità. Se la superficie di incidenza dei raggi X primari fosse piana, sia i raggi incidenti che i raggi di fluorescenza percorrerebbero tutti lo stesso tragitto; poiché l’assorbimento è anche funzione dello spessore attraversato, anch’esso sarebbe costante. Se invece la superficie è irregolare (ad esempio perché composta da granuli piuttosto grossolani) i raggi di fluorescenza compiono tragitti di lunghezza diversa e sono pertanto oggetti a un diverso assorbimento con effetti che non possono in nessun modo essere previsti. Questo fa sì che l’analisi manche di riproducibilità: ossia se l’analisi viene rifatta anche con lo stesso metodo si otterranno dati sempre diversi. Per ovviare a questo problema è quindi opportuno che la granulometria a cui viene ridotta la polvere nella preparazione della pasticca sia il più sottile possibile. In alternativa, anche in questo caso, un buon metodo è quello della preparazione delle perle di campione fuso.

Nella figura a i raggi incidono su una superficie piana, mentre nella b i raggi incidono su una superficie scabrosa. I raggi X secondari compiono tragitti diversi all’interno del campione e non prevedibili.

L’analisi su perle si esegue su campione diluito in un apposito fondente (generalmente in rapporto 1:10), poi portato a fusione e raffreddato. Le analisi su perle rispetto a quelle su pasticche hanno il vantaggio di ridurre gli effetti di matrice (il campione è più diluito, quindi le interazioni fra gli atomi che lo compongono sono minori) e quello di offrire una superficie perfettamente liscia e omogenea. C’è però anche uno svantaggio: la diluizione abbassa notevolmente la concentrazione degli elementi. Questo è un problema per gli elementi in tracce, già presenti in quantità molto modeste nella roccia. Per questo motivo l’ideale sarebbe quello di determinare gli elementi maggiori su perla e quelli in tracce su pasticca.

Diffrattometro per polveri - Un’altra tecnica analitica che utilizza i raggi X è la diffrattometria su polveri che consente di determinare i minerali contenuti in una roccia. È una tecnica analoga a quella dell’XRF che utilizza la legge di Bragg. Mentre per la fluorescenza a raggi X, la distanza
reticolare era nota, in questa tecnica la “d” risulta essere l’incognita. I raggi X utilizzati in questo caso devono essere monocromatici, ossia con una specifica λ. Per ottenere raggi monocromatici all’uscita del tubo raggi X deve essere posto un filtro che elimina tutte le λ tranne quella di interesse. Generalmente, viene utilizzato un filtro di Ni, che elimina tutte le Kβ lasciando solo le Kα (raggio monocromatico).

Schema di un diffrattometro per polveri

Ma come funziona lo spettrometro per polveri? Di seguito, i passaggi in breve.

  • Il raggio monocromatico viene fatto passare attraverso un collimatore di ingresso (finestra di Söller). Questo concentra i raggi sul campione;
  • Il campione viene fatto ruotare e l’angolo di rotazione viene costantemente misurato da un goniometro;
  • I raggi X incidenti sul campione vengono diffratti e inviati al rivelatore;
  • Il rivelatore ruota insieme al campione ma con velocità doppia, in modo da ricevere solo i raggi riflessi secondo la legge di Bragg.


I raggi X incidenti sul campione vengono riflessi in base alla distanza reticolare del campione. La polverizzazione del campione fa sì che i raggi X primari investano statisticamente tutti i possibili fasci di piani reticolari dei minerali e per ogni minerale, quindi, si otterranno più picchi, uno per ogni famiglia di piani reticolari.

L’analisi diffrattometrica è particolarmente utile nei casi in cui i minerali sono troppo piccoli per essere identificati al microscopio per esempio, i minerali argillosi.


martedì 4 giugno 2019

Il principio di funzionamento dell’XRF (spettrometria per fluorescenza a raggi X)

La XRF è una tecnica analitica non distruttiva che viene usata per la determinazione della composizione chimica della roccia. Durante l'analisi il campione viene bombardato con un fascio di raggi X primari ottenuti in un tubo catodico secondo il meccanismo precedentemente illustrato. Quando gli atomi della sostanza da analizzare vengono colpiti dalla radiazione primaria avvengono le stesse interazioni con la materia che si hanno quando una sostanza viene colpita dal fascio di elettroni. Quello che succede è che gli atomi della sostanza colpita da raggi X primari emettono altri raggi X, detti appunto secondari per distinguerli da quelli incidenti; in particolare quando i raggi X primari scalzano dai livelli energetici più interni di un atomo un elettrone, il posto di questo viene occupato da un elettrone dei livelli superiori con emissione di raggi X secondari aventi lunghezze d’onda caratteristiche dell’elemento in questione. Contrariamente al caso del tubo a raggi X in cui la radiazione incidente era data da elettroni, quando questa è rappresentata dai raggi X primari, l’effetto di fondo è trascurabile (i raggi X hanno infatti energia molto maggiore degli elettroni, per cui è quasi sempre possibile che avvenga la ionizzazione). Un campione di roccia è costituito da moltissimi elementi chimici, ognuno dei quali, una volta colpito da raggi X primari emette i raggi X secondari con le proprie lunghezze d’onda caratteristiche. Poiché tutti gli atomi della sostanza vengono colpiti simultaneamente in uscita ci sarà una radiazione X secondaria policromatica, ossia costituita da lunghezze d’onda variabili. Affinché possa essere fatta un’analisi quantitativa è necessario separare le radiazioni provenienti dai diversi elementi in modo poi da poterle “contare”. Quando il fascio di raggi X policromatici in uscita dal campione vengono fatti incidere su un cristallo con una certa distanza reticolare d, per ogni angolo di incidenza verranno riflessi solo i raggi con una λ tale da soddisfare la legge di Bragg.
Questo è proprio quello che avviene all’interno dello strumento, infatti, l'analisi per fluorescenza ai raggi X può essere schematizzata come segue:
• Il tubo a raggi X genera i raggi X primari che colpiscono la sostanza da analizzare. Gli atomi del campione vengono così eccitati ed emettono energia sotto forma di raggi X secondari.
• I raggi X secondari vengono fatti passare attraverso un collimatore primario, formato da una serie di lamine piano-parallele. La sua funzione è di rendere paralleli i raggi secondari che altrimenti formerebbero un cono.
• I raggi così "raddrizzati" sono fatti incidere su un cristallo analizzatore di cui sono note le caratteristiche. Il cristallo può essere fatto ruotare in modo che i raggi secondari incidano su di esso con un angolo θ sempre diverso. Un goniometro misura tale angolo.
• Il cristallo, per ogni angolo θ riflette solo i raggi con una λ ben determinata. Questi sono fatti passare per un collimatore secondario che li indirizza al sistema di rilevazione (detector).
Questo sistema di rilevazione dei raggi X, che vengono discriminati in base alla loro lunghezza d’onda, viene detto a dispersione di lunghezza d’onda (WDS Wave Dispersion System).

mercoledì 22 maggio 2019

Porosità per tutti

Un lettore del blog mi ha segnalato alcune difficoltà che ha riscontrato nel leggere l'articolo sulla porosità. Purtroppo devo ammettere che ho usato dei termini un po' tecnici che chiaramente destabilizzano chi, come lui, non è avvezzo a materie scientifiche. Per questo mi sono posta l'obiettivo di scrivere un articolo sulla porosità, simile al precedente, ma dando spazio più alla divulgazione che alla scienza. Cercherò, con termini semplici, di spiegare quello che volevo dire prima utilizzando formule, immagini e parole difficili! Buona lettura!

Ogni oggetto, anche quello che appare più compatto, è in realtà poroso. Proprio come una spugna, una parte del suo volume è occupato da piccole cavità. Queste sono dovute o a gas intrappolato, o a fessure dovute a ritiro (come l'argilla che, esposta al sole o cotta, a volte si crepa), o a spazi intergranulari, ossia spazi dovuti alla disposizione puramente geometrica delle particelle che compongono il dato oggetto. Queste cavità costituiscono quello che si chiama volume dei vuoti e in gergo viene abbreviato con Vv. Rapportandolo al volume totale (V) occupato dall'oggetto in studio, otteniamo un numerino che si chiama porosità.
La porosità totale è la somma della porosità aperta e quella chiusa. Cosa vuol dire? Esistono due definizioni che danno un senso a questa semplice addizione. Quando parliamo di porosità in generale, intendiamo tutto lo spazio vuoto presente in un oggetto. La porosità aperta, invece, tiene conto solo dei pori in comunicazione tra loro, cioè indica quella parte di "buchi" che possono contenere fluidi, tipo acqua, che siano in grado di muoversi sotto l'effetto della forza di gravità all'interno dei fori stessi (un po' come se fossero delle gallerie che vanno sempre verso il basso), mentre la porosità chiusa possiamo immaginarla come una bolla all'interno dell'oggetto che non comunica con nessun poro.
La porosità ha dei nomi diversi anche in base alla sua origine: può essere, quindi, primaria o secondaria, a seconda che i vuoti presenti si siano originati contemporaneamente all'oggetto che li contiene (i forellini di una spugna), oppure successivamente (le crepe di un'argilla che viene cotta) a causa di fessurazioni, fratturazioni, processi chimici, processi meccanici, escursioni termiche.
Infine, esiste anche la porosità interparticellare, che si ha tra le particelle dell'oggetto e quella intraparticellare, esistente all’interno dei corpi delle particelle.
Secondo la suddivisione IUPAC, i pori si classificano in base alle loro dimensioni in:
- macropori: più grandi di 50 nm;
- mesopori: di ampiezza compresa tra 2 e 50 nm;
- micropori: più piccoli di 2 nm.

Questo è quanto. Non mi dilungo sulle tecniche per calcolare la porosità perché entrerei nello specifico caso di rocce e suoli, e questo sarebbe poco comprensibile per chi non usa spesso formule,  strumenti di misura, tecniche analitiche e laboratori, ma sono sempre aperta ad aggiungere qualcosa se richiesto. Spero di essere stata meno criptica per chi si avvicina per la prima volta a questo mondo.
Buona serata!