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martedì 4 giugno 2019

Il principio di funzionamento dell’XRF (spettrometria per fluorescenza a raggi X)

La XRF è una tecnica analitica non distruttiva che viene usata per la determinazione della composizione chimica della roccia. Durante l'analisi il campione viene bombardato con un fascio di raggi X primari ottenuti in un tubo catodico secondo il meccanismo precedentemente illustrato. Quando gli atomi della sostanza da analizzare vengono colpiti dalla radiazione primaria avvengono le stesse interazioni con la materia che si hanno quando una sostanza viene colpita dal fascio di elettroni. Quello che succede è che gli atomi della sostanza colpita da raggi X primari emettono altri raggi X, detti appunto secondari per distinguerli da quelli incidenti; in particolare quando i raggi X primari scalzano dai livelli energetici più interni di un atomo un elettrone, il posto di questo viene occupato da un elettrone dei livelli superiori con emissione di raggi X secondari aventi lunghezze d’onda caratteristiche dell’elemento in questione. Contrariamente al caso del tubo a raggi X in cui la radiazione incidente era data da elettroni, quando questa è rappresentata dai raggi X primari, l’effetto di fondo è trascurabile (i raggi X hanno infatti energia molto maggiore degli elettroni, per cui è quasi sempre possibile che avvenga la ionizzazione). Un campione di roccia è costituito da moltissimi elementi chimici, ognuno dei quali, una volta colpito da raggi X primari emette i raggi X secondari con le proprie lunghezze d’onda caratteristiche. Poiché tutti gli atomi della sostanza vengono colpiti simultaneamente in uscita ci sarà una radiazione X secondaria policromatica, ossia costituita da lunghezze d’onda variabili. Affinché possa essere fatta un’analisi quantitativa è necessario separare le radiazioni provenienti dai diversi elementi in modo poi da poterle “contare”. Quando il fascio di raggi X policromatici in uscita dal campione vengono fatti incidere su un cristallo con una certa distanza reticolare d, per ogni angolo di incidenza verranno riflessi solo i raggi con una λ tale da soddisfare la legge di Bragg.
Questo è proprio quello che avviene all’interno dello strumento, infatti, l'analisi per fluorescenza ai raggi X può essere schematizzata come segue:
• Il tubo a raggi X genera i raggi X primari che colpiscono la sostanza da analizzare. Gli atomi del campione vengono così eccitati ed emettono energia sotto forma di raggi X secondari.
• I raggi X secondari vengono fatti passare attraverso un collimatore primario, formato da una serie di lamine piano-parallele. La sua funzione è di rendere paralleli i raggi secondari che altrimenti formerebbero un cono.
• I raggi così "raddrizzati" sono fatti incidere su un cristallo analizzatore di cui sono note le caratteristiche. Il cristallo può essere fatto ruotare in modo che i raggi secondari incidano su di esso con un angolo θ sempre diverso. Un goniometro misura tale angolo.
• Il cristallo, per ogni angolo θ riflette solo i raggi con una λ ben determinata. Questi sono fatti passare per un collimatore secondario che li indirizza al sistema di rilevazione (detector).
Questo sistema di rilevazione dei raggi X, che vengono discriminati in base alla loro lunghezza d’onda, viene detto a dispersione di lunghezza d’onda (WDS Wave Dispersion System).

domenica 19 maggio 2019

Espulsione di massa coronale del Sole e aurora boreale

Da oggi il blog prende una piega diversa. Dopo qualche nozione matematico-fisica, vorrei orientarlo su discussioni di temi attuali in quanto anche la scienza, come le altre materie esistenti al mondo, è con noi ogni giorno e si cela dietro eventi che spesso diamo per scontati.

Un’espulsione di massa coronale ha centrato la Terra la sera del 24 marzo, ma non ha dato vita a una tempesta geomagnetica poiché troppo debole. Il fenomeno è legato alla proiezione di plasma e radiazione elettromagnetica dall’atmosfera del Sole verso il nostro pianeta, e può dar vita a problemi radio e satellitari, oltre che ad aurore polari insolitamente affascinanti.
Questo è quanto recita un articolo di scienze.fanpage.it. Ma cosa significa tutto ciò?
Partiamo dal vedere, come al solito, qualche definizione. Una espulsione di massa coronale è una espulsione di materiale dalla corona solare, osservata con un coronografo in luce bianca. Il materiale espulso, sotto forma di plasma è costituito principalmente da elettroni e protoni, viene trascinato dal campo magnetico della corona.
Fortunatamente, il plasma sprigionato non è stato sufficiente a causare una tempesta geomagnetica che, effettivamente, avrebbe altrimenti causato danni enormi.

Come recita Focus:
Tutto inizierà con una fantastica aurora boreale. Ma sarà l’ultimo momento di gioia prima di anni di sofferenze. Potrebbe succedere un giorno qualunque. Ma quasi sicuramente in un anno in cui il ciclo un decennale dell’attività solare è al massimo. Poco dopo l’apparizione dell’aurora, le luci di casa cominceranno a tremolare, la tv farà fatica a sintonizzarsi. Qualcuno farà in tempo a controllare online l’arrivo di una violenta tempesta magnetica. Poi tutto si spegnerà. E sarà il black out totale.
Risultati immagini per aurora boreale
Aurora boreale che non tutti sanno cosa sia, nonostante il tempo che si passa a guardarne foto o a programmare viaggi per vederla dal vivo. Il colore dell’aurora boreale dipende da quali ioni sono presenti. Le aurore polari si creano quando le particelle cariche di vento solare entrano in contatto con la ionosfera terrestre. L’atmosfera del nostro pianeta è composta per lo più di ossigeno e azoto, ma alle altitudini in cui le aurore si verificano (a partire da 100 km di quota) l’ossigeno è il gas prevalente. Quando gli atomi di gas sono investiti dalle particelle cariche di vento solare, acquistano energia, che poi cedono, rilasciando fotoni di diverse lunghezze d’onda. Gli atomi di ossigeno emettono luce verde e talvolta rossa; quelli di azoto, bagliori di colore rosso intenso, blu e viola.
La Terra non è l’unico osservatorio ideale di tale fenomeno. Le sonde Voyager 1 e 2 l’hanno fotografato anche ai poli di Giove, Saturno, Urano e Nettuno; dopo di loro, anche Hubble ha iniziato una lunga serie di avvistamenti (qui vediamo potenti aurore ai raggi X osservate ai poli di Giove). Le aurore extraterrestri sono spesso molto spettacolari per via dell’intensità dei campi magnetici dei rispettivi pianeti. Quella di Urano ha caratteristiche uniche, perché il pianeta ruota inclinato di lato, ma il suo campo magnetico è pressoché verticale. Nel caso di Urano, le aurore polari somigliano più a puntini di luce, che ad anelli.
Sono visibili anche lontano dai poli. Le particelle cariche di vento solare scivolano lungo le linee del campo magnetico terrestre, che si comporta come uno scudo, schermando il nostro pianeta dalle radiazioni dannose. Poiché le linee di campo convergono in prossimità dei poli (anche se non esattamente in corrispondenza dei poli geografici), in questi punti – 60°-70° di latitudine – le aurore si verificano con particolare frequenza. In caso di intensa attività solare, si possono osservare anche a latitudini inferiori, come a quelle scozzesi, ma anche a Londra e Pechino. Per vederle, però, occorre trovarsi in un luogo al riparo dall’inquinamento luminoso, una circostanza assai rara, per un’area metropolitana.

Dal punto di vista fisico il fenomeno che “accende” le aurore è del tutto analogo a quello che fa funzionare le lampade al neon, dove gli elettroni eccitano gli atomi di un gas rarefatto rendendolo incandescente, il tutto a basse temperature (rispetto a quanto avviene, per esempio, con una lampada a incandescenza).
Le aurore sono in genere molto tenui, e alcune lunghezze d’onda, come quella del rosso, sono al limite della percezione dell’occhio umano. Le fotocamere sono spesso più sensibili, specie se sfruttate in foto a lunga esposizione, lontane da fonti di luce interferenti.
Si può prevedere l’intensità dell’attività magnetica solare, e si conoscono con buona approssimazione le aree solitamente più soggette al fenomeno. Ma è impossibile sapere in anticipo quale direzione assumeranno le espulsioni di massa coronale solare, gli eventi che più frequentemente danno origine alle aurore, finché queste non si verificano. Questo rende l’appuntamento con le aurore polari una fortunata combinazione di eventi, una circostanza mai scontata e, per questo, ancora più magica.

Alle 22:52 di domenica 24 marzo la Terra è stata investita da un’espulsione di massa coronale (CME), ma il plasma sprigionato dalla nostra stella non ha innescato una tempesta geomagnetica poiché troppo debole. Nonostante al momento non siano stati registrati problemi, effetti geomagnetici di ridotta intensità potrebbero verificarsi durante la giornata del 25 marzo, mentre il nostro pianeta attraversa il flusso di particelle ad alta energia “sparato” dal Sole. Fra essi vi sono anche spettacolari aurore boreali. Blackout alle comunicazioni radio e disturbi ai sistemi satellitari sono ancora possibili in particolar modo al Polo Nord, dunque sono stati avvisati tutti i piloti che si troveranno a volare nell’area in queste ore.
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