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sabato 8 giugno 2019

Errori sistematici nell’analisi per XRF

Come in ogni tipo di analisi, anche l'XRF presenta alcuni problemi, in particolare perché, come ogni raggio, anche i raggi x sono soggetti alle leggi di ottica e ai fenomeni di diffrazione, riflessione, rifrazione, e così via. In particolare, mi soffermerò sugli errori sistematici in cui spesso si incorre operando in questo modo.

Assorbimento - Come tutti i raggi, i raggi X vengono assorbiti nell’attraversare qualunque sostanza. L’assorbimento dipende dallo spessore del materiale attraversato, dalla sua densità e da un coefficiente, detto coefficiente di assorbimento che a sua volta dipende dall’elemento attraversato e dalla lunghezza d’onda della radiazione incidente. Quanto detto finora vale per i raggi X primari che incidono sul campione e vengono assorbiti dagli atomi della sostanza i quali li “trasformano” in raggi X secondari. Anche questi ultimi, tuttavia, nel loro percorso attraverso il campione sono soggetti ad assorbimento da parte degli altri atomi della sostanza, per cui la loro intensità viene almeno in parte diminuita. Quello che succede, in pratica, è che la radiazione secondaria emessa da un atomo va a interagire con altri atomi della sostanza, provocando l’eccitazione degli elettroni. Se l’energia è sufficiente a ionizzare l’atomo di un altro elemento si produce un effetto di fluorescenza secondaria, con l’emissione delle righe caratteristiche del secondo atomo. L’interazione può avvenire tra atomi dello stesso elemento (auto- assorbimento): ad esempio la radiazione Kα di un elemento può interagire con un altro atomo dello stesso elemento e fornirgli un’energia sufficiente ad espellere un elettrone dallo strato L. Per quell’elemento si avrà una diminuzione dell’intensità della Kα (assorbita per fluorescenza secondaria) e un aumento dell’intensità delle righe L. La fluorescenza secondaria può anche interessare atomi di elementi diversi.
Le rocce sono sistemi composti da molti elementi che interagiscono fra di loro causando effetti di rinforzo e di assorbimento di maggiore o minore entità a seconda delle loro diverse concentrazioni. Tutto ciò naturalmente provoca degli errori nell’analisi che non dipendono dallo strumento o dall’accuratezza con cui l’analisi stessa è condotta. Si parla in genere di effetto matrice per indicare le interazioni di un elemento chimico con la matrice (cioè con gli altri elementi che compongono il
campione).
Per ridurre l’effetto matrice si può:

  • fare uso di standard;
  • fare le analisi su perle di vetro in cui il campione viene diluito con elementi troppo leggeri per essere visti dai raggi X;
  • impostare sistemi matematici di correzione.

Effetti granulometrici - Sono errori causati dal fatto che la superficie di analisi non è perfettamente piana, ma presenta una serie di irregolarità. Se la superficie di incidenza dei raggi X primari fosse piana, sia i raggi incidenti che i raggi di fluorescenza percorrerebbero tutti lo stesso tragitto; poiché l’assorbimento è anche funzione dello spessore attraversato, anch’esso sarebbe costante. Se invece la superficie è irregolare (ad esempio perché composta da granuli piuttosto grossolani) i raggi di fluorescenza compiono tragitti di lunghezza diversa e sono pertanto oggetti a un diverso assorbimento con effetti che non possono in nessun modo essere previsti. Questo fa sì che l’analisi manche di riproducibilità: ossia se l’analisi viene rifatta anche con lo stesso metodo si otterranno dati sempre diversi. Per ovviare a questo problema è quindi opportuno che la granulometria a cui viene ridotta la polvere nella preparazione della pasticca sia il più sottile possibile. In alternativa, anche in questo caso, un buon metodo è quello della preparazione delle perle di campione fuso.

Nella figura a i raggi incidono su una superficie piana, mentre nella b i raggi incidono su una superficie scabrosa. I raggi X secondari compiono tragitti diversi all’interno del campione e non prevedibili.

L’analisi su perle si esegue su campione diluito in un apposito fondente (generalmente in rapporto 1:10), poi portato a fusione e raffreddato. Le analisi su perle rispetto a quelle su pasticche hanno il vantaggio di ridurre gli effetti di matrice (il campione è più diluito, quindi le interazioni fra gli atomi che lo compongono sono minori) e quello di offrire una superficie perfettamente liscia e omogenea. C’è però anche uno svantaggio: la diluizione abbassa notevolmente la concentrazione degli elementi. Questo è un problema per gli elementi in tracce, già presenti in quantità molto modeste nella roccia. Per questo motivo l’ideale sarebbe quello di determinare gli elementi maggiori su perla e quelli in tracce su pasticca.

Diffrattometro per polveri - Un’altra tecnica analitica che utilizza i raggi X è la diffrattometria su polveri che consente di determinare i minerali contenuti in una roccia. È una tecnica analoga a quella dell’XRF che utilizza la legge di Bragg. Mentre per la fluorescenza a raggi X, la distanza
reticolare era nota, in questa tecnica la “d” risulta essere l’incognita. I raggi X utilizzati in questo caso devono essere monocromatici, ossia con una specifica λ. Per ottenere raggi monocromatici all’uscita del tubo raggi X deve essere posto un filtro che elimina tutte le λ tranne quella di interesse. Generalmente, viene utilizzato un filtro di Ni, che elimina tutte le Kβ lasciando solo le Kα (raggio monocromatico).

Schema di un diffrattometro per polveri

Ma come funziona lo spettrometro per polveri? Di seguito, i passaggi in breve.

  • Il raggio monocromatico viene fatto passare attraverso un collimatore di ingresso (finestra di Söller). Questo concentra i raggi sul campione;
  • Il campione viene fatto ruotare e l’angolo di rotazione viene costantemente misurato da un goniometro;
  • I raggi X incidenti sul campione vengono diffratti e inviati al rivelatore;
  • Il rivelatore ruota insieme al campione ma con velocità doppia, in modo da ricevere solo i raggi riflessi secondo la legge di Bragg.


I raggi X incidenti sul campione vengono riflessi in base alla distanza reticolare del campione. La polverizzazione del campione fa sì che i raggi X primari investano statisticamente tutti i possibili fasci di piani reticolari dei minerali e per ogni minerale, quindi, si otterranno più picchi, uno per ogni famiglia di piani reticolari.

L’analisi diffrattometrica è particolarmente utile nei casi in cui i minerali sono troppo piccoli per essere identificati al microscopio per esempio, i minerali argillosi.


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