I tubi a raggi X - Il tubo generalmente usato per la maggior parte delle analisi è quello a Sc- Mo (Scandio- Molibdeno). Esso è cioè costituito da due anticatodi: uno formato da un elemento relativamente leggero (Sc: n.a. 21), l’altro da un elemento pesante (Mo: n.a. 42). Il motivo di questa scelta può essere facilmente compreso se si considera il meccanismo della fluorescenza: quando un raggio X primario con una certa energia colpisce il campione ionizza i suoi atomi e questi emettono raggi X secondari di fluorescenza. Affinché si abbia la ionizzazione è però necessario che l’energia del raggio in ingresso sia quanto meno simile all’energia di ionizzazione caratteristica di ogni livello energetico dei diversi atomi: se infatti l’energia del raggio X primario è troppo bassa non riuscirà ad allontanare l’elettrone dall’atomo. Viceversa, se è troppo più alta il raggio non interagisce con gli elettroni ed esce intatto. Per ionizzare ogni elemento chimico sarebbe quindi necessario avere una radiazione primaria con una ben determinata energia, il che richiederebbe l’utilizzo di moltissimi tubi a raggi X. Si comprende come questo sarebbe enormemente dispendioso sia in termini di costi che di tempi. Per questa ragione si utilizzano tubi a doppio anodo: la radiazione proveniente dall’anticatodo di scandio è adatta per eccitare gli atomi degli elementi leggeri; l’anticatodo di Mo emette invece una radiazione più energetica, più adatta quindi per eccitare gli elementi pesanti. In questo modo con un unico tubo si riescono ad analizzare quasi tutti gli elementi. In realtà il tubo a Sc- Mo può dare problemi con alcuni particolari elementi. Questo è legato al fatto che numerosi raggi emessi dal tubo (sia dallo Sc che dal Mo) raggiungono il rilevatore: nello spettro ci saranno pertanto anche i picchi di questi due elementi, che saranno particolarmente ampi. Questo fa sì che i picchi dei due elementi possano mascherare i picchi di elementi con lunghezza d’onda vicina (e quindi diffratti per angoli simili.
Tubo a raggi x |
I cristalli analizzatori - Dall’equazione di Bragg (2d sen θ = nλ) si vede che d è direttamente proporzionale a λ. La λ della radiazione emessa dagli atomi più leggeri (meno energetica) è maggiore di quella emessa dagli atomi più pesanti. E’ pertanto opportuno scegliere cristalli analizzatori che abbiano una distanza reticolare proporzionale alle lunghezze d’onda da “analizzare”. Nella pratica vengono utilizzati 4 cristalli con d diversi:
- il fluoruro di Litio LiF200;
- il LiF220;
- il PE (pentaedride, un composto organico)
- il TIAP.
Si tratta in ogni caso di cristalli sintetici il cui d è noto perfettamente ed è crescente dal LiF200 al TIAP. Pertanto si preferirà utilizzare il LiF200 per gli elementi più pesanti, gli altri cristalli per gli
elementi più leggeri. Per cambiare il cristallo non è necessario interrompere l’analisi e cambiarlo manualmente: basta preimpostare prima dell’analisi l’ordine e i tempi di utilizzo dei vari cristalli in funzione dell’ordine degli elementi da analizzare.
Collimatori - I raggi X primari vengono emessi in tutte le direzioni. Tuttavia, è importante che essi giungano sul campione seguendo un cammino rettilineo e tutti paralleli tra di loro. I collimatori primari non sono altro che
una fitta serie di lamelle che servono a eliminare i raggi che deviano dal cammino rettilineo. Un secondo collimatore (collimatore secondario) viene utilizzato allo stesso scopo per indirizzare i raggi in uscita dal cristallo analizzatore sul rivelatore. Naturalmente più le lamelle del collimatore sono fitte migliore sarà la sua azione. Tuttavia, un maggiore numero di lamelle significa anche una maggiore quantità di raggi eliminati, il che può essere un problema per gli elementi presenti in scarse quantità o per quelli leggeri. Per questa ragione si usano due tipi diversi di collimatore: “coarse”, ossia con alta distanza tra le lamelle (2000 lamelle in 2 cm) e “fine” (4000 lamelle in 2 cm). Il primo viene utilizzato per gli elementi in traccia o per gli elementi leggeri, il secondo per gli elementi maggiori o pesanti.
Rilevatori - Il rilevatore deve trasformare i fotoni X in arrivo in un segnale misurabile; questa trasformazione deve naturalmente essere proporzionale, ossia ci deve essere sempre la stessa relazione tra numero di raggi in arrivo e segnale in uscita. Negli strumenti più comuni si utilizzano due tipi di rilevatori: quello a flusso di gas e quello a scintillazione.
Rilevatore a flusso di gas - Consiste in un tubo catodico con un anodo rappresentato da un sottile filo di Tungsteno che passa al centro del tubo. Tra il filo e il tubo viene applicata una differenza di potenziale ΔV. Il tubo ha in alto una finestra di Mylar, (un materiale trasparente ai raggi X) da cui entrano i raggi provenienti dal cristallo. Un’altra finestra di berillio consente l’uscita dei raggi X in modo tale che non venga prodotta radiazione secondaria da parte del rilevatore stesso. Nel tubo viene fatta scorrere una miscela costituita dal 90% di Argon e dal 10% di metano.
I raggi X provenienti dal cristallo entrano nel tubo e ionizzano le particelle di Argon, formando una coppia: e- e Ar+. All’interno del tubo viene applicata una differenza di potenziale, cosicché gli elettroni vengono accelerati verso il filo di tungsteno. Nel loro moto verso il filo gli elettroni ionizzano altri atomi di Ar producendo così un numero sempre maggiore di elettroni (effetto valanga. L’effetto valanga fa sì che il segnale iniziale venga amplificato.
Gli elettroni che ricadono sul filo elettrico inducono nello stesso una differenza di potenziale momentanea che causa un impulso elettrico la cui intensità può essere misurata. In realtà la corrente che si genera è così bassa che prima di essere misurata è necessario amplificare il segnale. Con questo sistema i fotoni X in ingresso sono stati trasformati in impulsi elettrici che possono essere letti. La trasformazione naturalmente è proporzionale: maggiore è il numero dei raggi in ingresso maggiore sarà il numero di elettroni prodotto, quindi maggiore sarà l’impulso elettrico misurato. Mentre gli elettroni sono accelerati verso il filo elettrico (anodo) gli ioni Ar+ sono accelerati verso
le pareti del tubo (catodo). Il metano nella miscela serve ad evitare che gli ioni la colpiscano generando effetti di moltiplicazione che andrebbero ad alterare i dati dell’analisi. Il metano cioè cede un elettrone all’Ar+ che si ritrasforma in Ar. Il processo di neutralizzazione degli ioni Ar+ da parte del metano è molto più lenta dell’arrivo degli elettroni sul filo. Finché il processo di neutralizzazione non è completo non ci può essere un’ulteriore ionizzazione da parte dei raggi X in ingresso. Esiste pertanto un tempo morto durante il quale i raggi X in arrivo non vengono rilevati dal detector. Questo provoca una sottostima degli impulsi che sarà tanto maggiore quanto maggiore è il tempo morto. Il tempo morto è una caratteristica nota di ogni detector; è quindi possibile apportare le opportune correzioni ai valori misurati tenendo conto di questo fattore. Queste correzioni vengono in genere fatte automaticamente dallo strumento.
Rilevatore a Scintillazione - I raggi X che entrano nel contatore incidono su un cristallo di Ioduro di Sodio (NaI) drogato con Tallio (Tl). Il Tl è un metallo di transizione e come tale può avere più stati di valenza; quando è colpito dai raggi X incidenti passa al suo stato di valenza più alto accumulando energia. Quando poi torna nel suo stato “normale” cede l’energia accumulata sotto forma di radiazione UV: la sostanza si comporta cioè come un fosforo. Dietro il cristallo è posto un fotocatodo che trasforma la radiazione UV in elettroni. L’efficienza di questo sistema è molto bassa, tanto che il segnale deve essere amplificato più volte tramite una serie di dinodi prima di essere scaricato sul circuito elettrico.
In entrambi i tipi di contatore, dunque, un fotone di alta energia (raggi X) viene trasformato, in maniera proporzionale, in un impulso elettrico la cui intensità può essere misurata. La differenza tra i due rilevatori sta soprattutto nell’efficienza: il contatore a flusso di gas ha un’efficienza maggiore di 3 o 4 volte rispetto quello a scintillazione. Di conseguenza si preferisce utilizzare il contatore a flusso di gas per radiazioni X di bassa energia (ossia corrispondente a elementi leggeri):
infatti esponendolo a radiazioni troppo energetiche si può rischiare di farlo andare in saturazione. Per queste ultime è quindi preferibile utilizzare il contatore a scintillazione. Si consideri anche che quest’ultimo ha il vantaggio di presentare tempi morti molto più bassi che nel caso precedente.
L’analisi quantitativa - Qualunque sia il tipo di rilevatore utilizzato quello che essi misurano non è direttamente la concentrazione dell’elemento ma degli impulsi elettrici la cui intensità sarà proporzionale alla percentuale dell’elemento che l’ha prodotta. Avremo cioè che la concentrazione di ogni elemento sarà pari all’intensità misurata moltiplicata per un fattore di proporzionalità k. Per trasformare le intensità in concentrazioni degli elementi corrispondenti, ossia per determinare il valore di k, è necessario fare uso degli standard, ossia di sostanze la cui composizione in termini di concentrazioni dei vari elementi è perfettamente nota. Misurando nei diversi standard l’intensità dell’impulso elettrico prodotto da un determinato elemento di cui si conosce la concentrazione si possono costruire le rette di taratura per i vari elementi.
Curva di calibrazione |
Tramite queste rette, una volta misurata l’intensità dei picchi nel campione si può risalire alla concentrazione dell’elemento corrispondente. Gli standard servono anche ad eliminare una delle fonti di errore di questo metodo analitico, ossia l’effetto matrice.
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